Storia di una Sardina in viaggio verso il Nulla

Tornare da soli dove  si è stati in buona compagnia è un colpo al cuore.
Stesso pullman, stesse facce, stesse fermate, tutto uguale, tranne il mio animo. Quello non è più lo stesso.
Non è più come prima, né per gli Altri, né per me. Forse, più per gli Altri che per me;  per me tutto scorre e niente si arresta, nemmeno un attimo, nemmeno per farmi rendere conto di cosa stia accadendo.Se fossi un regista, ambienterei il mio film su un pullman oppure in metro,  insomma, in posti piccoli e affollati, dove gente mai vista prima si ritrova, dove persone di tutti i tipi –  probabilmente con poco o nulla in comune – sono accomunate dalle stesse esigenze: tenersi alle maniglie e alle sbarre smaltate,  per non cadere; sedersi per alleviare la stanchezza; lamentarsi del tempo che passa, della vita che corre lontano, dell’autista che si arresta in curva e della strada ancora bloccata. Gente che, pur del tutto sconosciuta, dopo i primi due sguardi, inizia a sembrarti stranamente familiare. Quello assomiglia al mio vicino di casa; l’altro ha il berretto di un rapper, chissà, forse, appartiene ad un gruppo rivale del ragazzo agli ultimi posti, con la gigantesca catena d’oro e i pantaloni dal cavallo basso; quella, invece, mi ricorda la mia amica che è partita proprio ieri e la ragazzina che le sta accanto ha un’aria così stanca! Sembra molto più fiacca di Noialtri. Avrà  fatto tardi ieri sera, forse ad una festa …

Intanto, fuori dal vagone grigio-blu piove, piove a dirotto, tanto che sento schiantarsi sui vetri freddi anche i famosi cani e gatti inglesi. Qualche goccia trapela, ci cade in testa, ci gela, ci fa inveire e dopo si deposita, insieme a tutte le altre, sul pavimento, fino a formare un rivo di lacrime che fluisce in questa scatola mal chiusa.
E noi, tante sardine in cerca di spazio per respirare, per non toccarci, per evitare di contagiarci l’un l’altro quel grigiore che ci accomuna, che riveste, come una patina, gli occhi di tutti noi, che ci svegliamo alle 6.00 del mattino e compiamo, ogni giorno, le stesse azioni. Mangiare sempre la solita colazione, bere sempre il solito sorso di caffè/tè/latte, prendere sempre i soliti vestiti dall’armadio, uscire sempre con la solita faccia stropicciata e aspettare sempre la solita scatola di latta: fare sempre la solita vita da Sardina!
Il mio vicino di posto, un uomo più che cinquantenne, si fermerà a questa o alla prossima? Un altro soggetto, alto e vagamente robusto, ma parimenti bigio e accompagnato dalla sua inseparabile cartellina di cuoio, scende a questa fermata. Prima di prenotarla, si ferma a salutare, con un cenno del capo ed un sorriso spento, l’uomo accanto a me; poi, preme il pulsante blu e la scatola si ferma e lascia che la sardina esca.
Okay, l’ultracinquantenne scende alla prossima. Mi alzo, evitando di cadere sulla fila opposta di seggiolini; maledetta borsa ingombrante! Il mio – ormai ex – vicino mi ringrazia e mentre Placido Domingo interpreta, solo per me, una versione eccezionalmente mattutina di “E lucevan le stelle”, con la sua testa quasi pelata, l’uomo dal pallido grigiore, si avvicina all’uscita. Perdiamo un’altra sardina. Sardina che scende, sardina che sale. Il pullman procede.
Due ragazzi, dietro di me, in piedi, in equilibrio precario, parlano fittamente con una mia ex compagna delle elementari, che, adesso, frequenta il mio stesso corso. La ragazza che mi si è seduta di fronte, probabilmente fuoricorso, con un evidente rossetto rosso fuoco, avverte tutti coloro che le chiedono “Posso?”, indicando il sediolino vuoto affianco al suo, che questo è  umido ed è meglio sedersi altrove.
Giornata normale. Molta pioggia,  qualche freddo e improvviso “sputo” degli impertinenti Angeli di cui cantava Dalla, molto sonno e tante sardine sfaticate e cineree.
Povere queste sardine! Dove finiranno? Su quale tavola imbandita saranno divorate? E da chi?
Il pullman svolta bruscamente ed eccoci qua. Ultime pozzanghere e siamo arrivati.
Al Terminal smettiamo di essere pesciolini in scatola, diventiamo solo stupidi esseri umani privi di speranza.
Che brutto il destino degli uomini! Era meglio essere Sardine e annegare nel nostro liquido, chiuse in un involucro di latta, piuttosto che buttare tempo e denaro nell’incertezza di un futuro, che, forse, nemmeno desideriamo.
Ma noi siamo al Terminal e prima di tornare Sardine passeranno ore,  ore in cui subiremo il deprecabile destino umano, che piomberà, di nuovo, su di noi!
Poveri uomini! Che strane scelte compiono!
Possono vestirsi di mille colori, ma ricoprono il loro cuore di squame grigiastre e melmose.
Possono correre lontano, ma scelgono di nuotare seguendo la corrente.
Possono  parlare, eppure,decidono di star muti come Pesci.