L’autoanalisi illustrata di ZUZU: il fumetto e la bellezza

L’idea di intendere perfettamente qualcuno, senza averlo mai realmente conosciuto, pare essere una delle invenzioni più melense che i film romantici hollywoodiani ci abbiano regalato, una finzione narrativa capace di farci credere in legami ancestrali e indissolubili. Almeno, così ho sempre pensato, finché non ho incontrato Giulia Spagnulo, in arte ZUZU, una giovane illustratrice con cui ho avuto modo di discutere di temi che stanno a cuore a entrambe, ritrovandola più simile a me del previsto.

Ecco, Giulia mi ha fatto ricredere sui film americani. Intervistarla, per me, è stato come rileggere un libro, divorato anni prima e mai dimenticato del tutto, è stato come ricevere una serie di -belle- conferme, un insieme di risposte (a domande, forse, scontate) di cui avevo non il semplice presentimento, ma la quasi assoluta certezza. Più che conoscerla, mi è sembrato di riconoscerla, calandola perfettamente nelle sue opere. Un pensiero nitido e controcorrente, quello di ZUZU, che è emerso con chiarezza, durante la nostra lunga chiacchierata pomeridiana, tra colpi di tosse e sorsi di vino.

Imprinting è il termine che più esattamente racchiude non solo il mio incontro con Giulia, ma anche il suo con il mondo del fumetto. “In realtà è stata una scelta abbastanza impulsiva.” Racconta, “Fin da piccola, ho avuto la passione per il disegno, ma ad una carriera simile proprio non ci pensavo.” Mi spiega, quando le chiedo come tutto abbia avuto inizio. “Avevo diciassette anni, ero all’ultimo anno del liceo classico e mi trovavo in un bar con degli amici. Hai presente quelli che danno al cliente la possibilità di leggere libri e fumetti? Ecco, ero lì e non avevo mai letto un fumetto nella mia vita, quando mi è capitato tra le mani La mia vita disegnata male di Gipi (n.d.r. tenete bene a mente questo nome, tornerà tra qualche riga, in modo inaspettato e assurdo). Ovviamente, non conoscevo l’autore, ma il titolo e i disegni mi parevano interessanti, quindi, nonostante fossi in compagnia, l’ho iniziato a leggere e l’ho terminato quello stesso giorno, in quello stesso bar. È stato lì che mi sono detta: è questo che voglio fare da grande! Non c’è nulla che mi darebbe più soddisfazione nella vita. Da lì è nato tutto, da quel desiderio di raccontare storie.

Continua e non può fare a meno di sottolineare quanto l’aiuto economico e prima ancora, morale datole dai genitori, soprattutto da sua madre, sia stato fondamentale per la realizzazione del suo progetto di vita. “Naturalmente, il solo desiderio di comunicare tramite disegni non basta, per questo mi sono messa a cercare un percorso di studi, successivo al liceo, che mi permettesse di fare ciò che avevo in mente. Il paradosso è che è stata mia madre a trovarlo. Io avevo escluso fin da subito l’idea di frequentare il corso Illustrazione allo IED di Roma, essendo  questa una università privata, invece mia madre mi ha spinto a farlo, sostenendo che quello sarebbe stato il percorso più interessante per ciò che volevo realizzare e che avrei trovato i migliori professori in materia. E così è stato.”

Dalle sue parole, oltre all’immensa gratitudine nei confronti di chi ha creduto in lei fin dal primo istante, traspare una grande coerenza e precisione. Una chiarezza emotiva e interpretativa che è difficile trovare in giro, soprattutto se pensiamo che la nostra interlocutrice è nata solo nel 1996. Le regole narrative e visive che segue e distrugge nelle sue opere ci vengono presto spiegate: “Il mio stile non è un dono divino!” ammette subito, “È  frutto di lavoro, osservazione, conoscenza. È tutto sempre frutto di grande lavoro, quando si tratta di fumetti. Non credo che nessuno di noi, in questo ambito, abbia inventato nulla. Tutti rubiamo qualche forma, qualche gioco cromatico dai nostri artisti preferiti. È questo che mi ha insegnato lo IED e che più ho apprezzato del mio percorso formativo: abbiamo appreso stili, linee e colori, abbiamo studiato gli artisti del passato e i loro pensieri, i linguaggi visivi e le loro espressioni e poi, a differenza di quanto accade  solitamente nelle Accademie, abbiamo distrutto e rielaborato tutto, alla luce di ciò in cui ci riconoscevamo maggiormente.”

Un percorso soggettivo e intenso, quello degli illustratori come ZUZU, che parte dall’esterno per arrivare al cuore dell’artista, una strada, quella percorsa da Giulia, che si costruisce e decostruisce in un gioco di continui riferimenti e innovazioni. “Inutile dire che le mie ispirazioni maggiori sono state l’espressionismo tedesco, ma anche e soprattutto autori contemporanei come Jesse Jacobs, Gipi, da cui è partito tutto e tantissimi altri. Quando vuoi disegnare fumetti,  l’importante” chiarisce “non è il curriculum che hai, i voti dei tuoi esami o quello con cui ti laurei, l’importante è avere uno stile preciso e riconoscibile, che possa essere apprezzato dal pubblico e dagli editori.”

A proposito di stile, non si può certo dire che quello di Giulia non sia uno dei più facili da identificare. I suoi personaggi sembrano contorcersi sullo sfondo della pagina ipercolorata, piegarsi in forme articolate e in gesti così mollemente umani da risultare innaturali. Impossibile non chiederle, dunque, qualcosa in più su come abbia fatto ad arrivare a una concezione di bellezza così fiera ed altra da ciò che si vede in giro. Se pensiamo, infatti, a uno dei fumettisti italiani più famosi come Milo Manara e alle sue donne meravigliose e voluttuose o a chi si è da poco affacciato al mondo del fumetto, sfruttando i social come piattaforma interattiva per costruirsi un pubblico vasto e fedele, come Il Baffo e ai suoi soggetti blu, onirici, dalla bellezza che, pur essendo moderna, rasenta la perfezione, è evidente il discrimine segnato dalle creature disegnate da ZUZU, lontane dai canoni della tradizione, dalle proporzioni classicamente conosciute e ideate per fluttuare a mezz’aria in nuvole di caotici pensieri senza filtri né censure, spesso nude come vermi, per inneggiarne l’intrinseca vulnerabilità.

“Per quanto riguarda il concetto di bellezza e la mia scelta stilistica lontana dal classicismo, anche questa non è una scelta né del tutto naturale né completamente artificiosa. Diciamo che quello che faccio per me è molto bello, ma non perché io mi abbia grande stima di ciò che disegno e lo trovi eccezionale, ma perché è frutto di una precisa ricerca del bello. Anche se dai miei disegni sembra che prevalga il contrario, l’osceno, le figure spaventose e grottesche, io, in queste forme e anatomie, trovo la bellezza.” Confessa l’artista. “Per esempio, i nasi. Ecco, tanta gente, spesso, mi fa notare che i nasi che faccio sono strani, buffi, molto pronunciati e atipici. Questo nasce dal fatto, credo, che noi disegnatori, in fondo  in fondo, disegniamo sempre noi stessi, tendiamo sempre a farci un ritratto, anche se raffiguriamo qualcun altro o inventiamo un personaggio di sana pianta. Poiché, fin da piccola, ho avuto una sorta di complesso per il mio naso pronunciato e i miei occhi grandi, trasporto queste caratteristiche sui miei personaggi. Per quanto riguarda, invece, il resto del corpo, penso che, accentuando un piede o una gamba o le braccia e allungando o riducendo parti del corpo che dovrebbero essere più corte o più lunghe, io possa trasmettere  dei messaggi. È come se queste deformazioni parlassero per quell’individuo e dicessero qualcosa in più di lui, di ciò che fa e come lo fa, dando un’idea di confusione, rigidità, forza o debolezza. Dato che non sono foto e non si tratta di soggetti reali, ho la libertà di trasformare il mio personaggio a mio vantaggio: per me, anche il braccio, girato in senso opposto a come dovrebbe, o il ginocchio, che si trova in un posto in cui non dovrebbe anatomicamente collocarsi, raccontano una storia.”

Insomma, una narrazione a 360°, nascosta anche nei minimi dettagli delle tavole di ZUZU, che apre ad una riflessione maggiore sul concetto di bellezza in campo artistico e sociale. “Se nell’arte si è liberi di fare ciò che si vuole e non ritengo che la mia opera possa, né sia in grado, di sdoganare un concetto di accettazione di sé e delle proprie imperfezioni, è possibile che le mie illustrazioni siano di spunto per cambiare i rigidi parametri attorno ai quasi si avviluppa il concetto di bellezza socialmente riconosciuto e accettato.” Mi confessa, sottolineando che “attraverso il disegno e l’arte in genere, noi possiamo aiutare a comprendere che il bello non è da incasellare, ma da scovare. È bello ciò che fa riflettere e mettere in discussione i propri punti di vista, fino al punto di aprire conflitti. La bellezza è arte e l’arte non è mai unidirezionale o canonica. L’arte ti stupisce continuamente e così dovrebbe fare la bellezza. Forse, ci siamo dimenticati che quest’opera di destrutturazione dei canoni di bellezza, l’arte la compie da anni. Allora, probabilmente, dovremmo guardare alla bellezza, per così dire, sociale con la stessa libertà con cui si interpreta e trasforma la bellezza artistica.”

La libertà di cui parla Giulia è ben visibile nei suoi lavori, alcuni dei quali affrontano tematiche molto simili a quelle che ha indagato la fotografa Chiara Lombardi nel suo lavoro Cam4Shots (di cui abbiamo parlato qui) ed è proprio per questo che le due artiste si sono trovate a collaborare alla fanzine elaborata da Chiara durante il suo progetto. Due dei temi, quindi, che non potevano non essere trattati sono quelli della sessualità e del femminismo.

ZUZU ne parla così: “Come ho detto, l’arte è libertà e sarei stupida a non sfruttare questo mezzo per esprimere me stessa appieno, nonostante io abbia ancora alcune remore, che mi impegno quotidianamente ad abbattere. Per quanto riguarda la sessualità, molti dei miei lavori più che di sesso parlano di corpi e forme e credo sia necessario fare una precisazione: tutto può essere interpretato nell’ottica della sessualità, dalle persone agli oggetti inanimati, così come un corpo nudo può essere semplicemente un nudo, avulso dalla sfera sessuale e non c’è assolutamente nulla di sbagliato in nessuna delle due cose. Altra situazione ancora è la volgarità, che non va confusa coi due ambiti precedenti. Abbiamo, a tutt’oggi, problemi a fare queste distinzioni, ma non è nemmeno del tutto colpa nostra, dal momento che, fin da piccoli, siamo soggetti a dei pregiudizi e a dei ragionamenti che ci inculcano da sempre, ma che, magari, col tempo e con molta onestà intellettuale, scopriamo che non ci appartengono davvero.”

Ovviamente l’interesse a un tema simile non può che nascere da un forte bisogno ed è qui che l’animo femminista di Giulia si affaccia con tenacia. “Parlare di sessualità e nudi è fondamentale per me, poiché mi consente di ribadire l’importanza che la donna dovrebbe avere nella nostra società. Nonostante sia il 2018, spesso, devo pedantemente ripetere concetti basilari, come il fatto che la donna sia un essere umano e in quanto tale libera di esprimersi, vestirsi e comportarsi come preferisce, sempre, chiaramente, nel rispetto degli altri.

Talvolta, su Instagram, mi capita di postare disegni che, per alcuni, possono sembrare osceni o mie foto senza veli. Io li trovo necessari a ribadire i concetti di libertà di espressione e di parità, non vedo nulla di negativo nei miei post e devo dire che anche la mia community di riferimento, tranne in alcuni rari casi, si è sempre dimostrata di grande supporto nei miei confronti, forse, perché proprio il mio stile non convenzionale e lontano dai canoni estetici, a cui siamo abituati, tiene lontani i buzzurri dalle mie pagine e lascia solo coloro i quali siano davvero interessati all’arte e alle mie opere.” Sostiene, infine, con una certa fierezza, che si trasforma rapidamente in minima incertezza quando le chiedo la luna, ossia di condensare il messaggio del suo lavoro in poche, semplici parole.

“È davvero una domanda difficile!” ammette, poi, però, le basta riflettere qualche secondo per addivenire a questa conclusione: “Uhm, credo che più che il messaggio, il fine delle mie illustrazioni sia terapeutico. Partiamo dal fatto che mio padre è psichiatra e mia madre psicologa, quindi quello della terapia è un campo che non ho avuto difficoltà ad incontrare nella mia vita.”

 

SALUTEMENTALE

Illustrazione di ZUZU per la Giornata Mondiale della Salute Mentale

“Diciamo che i miei disegni mi aiutano a esprimere chi sono, quali sono i miei pensieri e le mie emozioni, sono una sorta di autoanalisi, a cui mi sottopongo, quando, oramai, le situazioni di cui parlo sono superate, quando mi sono distaccata abbastanza dal fatto concreto, tanto da poterlo sviscerare con chiarezza e poi vomitarlo sul foglio così come la mia analisi mi porta a fare.” Si ferma un attimo e alla fine afferma soddisfatta: “Se questa è la finalità con la quale opero, il messaggio potrebbe essere quello di comunicare apertamente con i lettori, con gli altri. In loro è la soluzione, la chiave di tutto. Un po’ come accade nel mio fumetto.”

Giulia, infatti, sta per pubblicare Cheese, la sua opera prima, che uscirà a marzo per la casa editrice Coconino Press, sul tema dei disturbi alimentari, un altro argomento a cui tiene molto, dal momento che ella stessa ha vissuto sulla sua pelle cosa significhi essere affetta da una problematica simile. “La storia è buffa e molto semplice.” dice, ridacchiando, “una ragazza che soffre di disturbi alimentari –che poi sarei io- insieme a due sue amici decide di partecipare ad una gara di formaggio rotolante, che è uno sport realmente esistente, che si pratica in Galles e in Italia, a Brentonico. La competizione consiste nel far cadere una forma di formaggio da un monte e chi dei concorrenti, rotolando, la prende per primo, vince. Quello della gara è, naturalmente, solo un espediente narrativo per raccontare le storie dei personaggi e far evolvere la protagonista, al fine di aiutarla nel suo percorso di guarigione. Ecco perché, ti dicevo, è terapeutico disegnare: perché mi permette di affrontare il mio passato, la mia storia, di fare una somma di quello che mi è successo, sdrammatizzandolo, ma lanciando comunque un messaggio a chi si trovi o si sia trovato al mio posto.”

La parola imprinting torna nella vita di Giulia, proprio nel momento più importante della vita di uno studente universitario, infatti, mi spiega: “La cosa divertente, però, non è tanto il fumetto, ma il modo, del tutto spontaneo, in cui è nato. In pratica, allo IED, come tesi di laurea bisogna presentare un prodotto editorialmente finito di qualsiasi tipo, ovviamente io, partendo dall’idea di voler fare un fumetto, mi sono detta che quella sarebbe stata la mia occasione e così ho presentato questo lavoro in sede di laurea. E proprio lì, il giorno della laurea, dopo aver esposto il mio lavoro, il mio relatore di tesi Francesco D’Erminio, in arte Ratigher, che da poco era diventato editore della Coconino Press, mi ha messo una mano gelida sulla spalla e mi ha detto Lo pubblichiamo! Per me è stato un momento di gioia inspiegabile, il giorno più bello della mia vita!” Esclama ancora un po’ commossa e aggiunge: “E vuoi sapere qual è la cosa ancora più assurda?  Il mio supervisore adesso è proprio Gipi, colui che mi ha fatto scoprire il mondo del fumetto e senza il quale, forse, la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa!”

Una serie di fortunate e -aggiungerei- meritate coincidenze, che hanno portato ZUZU ad essere una delle giovani firme della Coconino Press, pronta a fare la sua entrata ufficiale sul palcoscenico dei fumettisti italiani contemporanei. Un mix esplosivo di voglia di raccontare e raccontarsi tramite forme scomposte e grottesche, pensieri schietti e un’incontenibile energia creativa. Un concentrato di emozioni che potrete presto leggere in formato cartaceo, ma che, già da subito, potete ammirare nelle varie fiere che ospiteranno le sue opere in tutta Italia e sulla sua pagina ufficiale di Instagram (@sono.zuzu)e Facebook , dove avrete anche la possibilità di acquistare o commissionare stampe e disegni inediti.

Buona fortuna, quindi, a Giulia Spagnulo, in arte ZUZU, per il suo futuro e -le auguriamo- roseo percorso di autoanalisi illustrata!

 

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